La dipendenza raggiunge dimensioni “pandemiche” nei paesi scandinavi, secondo quanto rivela una ricerca svedese
La dipendenza dai videogame sta raggiungendo una dimensione pandemica, secondo quanto rivela uno studio condotto da un’organizzazione svedese che opera nel settore del disagio giovanile.
“È un problema nascosto in molti paesi e non ottiene molta attenzione
perché non si svolge in posti pubblici ma nel chiuso delle case".
Spiega Sven Rollenhagen, della fondazione Stiftelsen Ungdomsvård, per
quasi vent’anni in prima linea nella cura della dipendenza da giochi
elettronici.
Ma solo da poco ha ottenuto una grande visibilità.
In un report di pochi mesi fa definiva uno dei giochi di guerra più venduti “la cocaina del mondo dei videogiochi”.
Da allora l’associazione è stata inondata di richieste da tutto il
mondo di persone che cercavano informazioni su come trattare il
problema.
“Siamo stati tempestati di chiamate e mail di persone che pensavano di
soffrire di questo problema o che conoscevano qualcuno che potesse
esserlo” racconta Rollenhagen.
Scoperta la portata globale del problema, il centro ha dato il via alla
creazione di un network internazionale di professionisti e
organizzazioni, con l’obiettivo di portare alla luce quella che
ritengono una questione di salute pubblica di grande portata.
“Spesso ragazzi e anche persone più mature finiscono per dedicare così
tanto tempo ai giochi che tutti gli altri aspetti della vita come la
famiglia, il lavoro, la scuola, le relazioni vengono messi da parte”.
“Se guardiamo il numero delle chiamate che riceviamo non possiamo
sottostimare il problema, si tratta di un bacino di potenziale disagio
enorme, che non può essere sottovalutato”.
Un impegno di portata sociale rilevante, sebbene sarebbe scorretto
demonizzare il videogioco, che non necessariamente conduce alla
dipendenza o all’isolamento, ma che anche anzi, spesso, viene usato
dagli utenti come strumento di conversazione e vissuto come momento
sociale di aggregazione.